Omelia di mons. vescovo Franco Giulio Brambilla per la Messa del Miracolo 2019

29 aprile 2019

Omelia di mons. vescovo Franco Giulio Brambilla per la Messa del Miracolo 2019

IN MARIA TUTTO È RELATIVO A CRISTO

Basilica della Madonna del Sangue a Re 29 aprile 2019, Messa del Miracolo      

Come abbiamo udito dalle parole alate del Rettore del santuario, da cinquecento-venticinque anni questa messa è celebrata alle ore 15.00, nell’anniversario preciso dell’e-vento prodigioso che la tradizione ci ha consegnato. In passato s’intendeva in tal modo favorire e attendere coloro che venivano al di là del Lago Maggiore – un tempo si veniva a piedi – e per questo si ottenne dal Papa un indulto per poter celebrare la messa a quest’ora, ma senza andare troppo oltre perché, dato che all’epoca bisognava arrivare alla messa digiuni, la saggezza della Chiesa voleva evitare che qualcuno soccombesse prima della celebrazione!  

Saluto affettuosamente tutte le persone presenti, le autorità, i cari sindaci con cui c’è una bella sintonia e, soprattutto, gli ospiti delle diocesi svizzere del Ticino e di Sion. Ogni anno il Padre rettore mi invia un tema da sviluppare durante l’omelia. Quest’anno il tema è desunto da un’espressione brevissima di un bellissimo testo di san Paolo VI, che si trova nell’esortazione apostolica sul culto mariano, Marialis Cultus, del 2 febbraio 1974.

Al numero 25 è detto: “Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da Lui dipende”. Quindi Maria ci porta a Gesù e, portandoci a Gesù, porta Gesù a noi. Leggendo tutto il numero (cfr. n. 25), cui appartiene questa citazione, per la verità il testo sviluppa in particolare la prima parte dell’espressione “Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo”, mentre nel numero seguente (cfr. n. 26), il testo descrive in modo stupendo la seconda metà dell’espressione: “e tutto da Lui dipende”. In questo anno mi soffermo sulla prima parte dell’espressione: “Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo”.  

Nel brevissimo brano evangelico, che è stato ora proclamato (Gv 19, 25-27), abbiamo ascoltato che Gesù sulla croce non pensa a se stesso, ma si rivolge al discepolo: mentre Maria perde il suo Figlio, le viene dato un nuovo figlio, che è il discepolo che Gesù amava. Gesù dalla croce usa questa espressione:
(Gesù) disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. (Gv, 19,27)  

L’espressione finale del testo greco originale è εἰς τὰ ἴδια (eis tà ìdia) ed è intraducibile in italiano. Intende esprimere il fatto che Giovanni accolse e introdusse Maria nella sfera dei propri affetti, nello spazio della propria intimità, l’accolse con sé! Il Signore Gesù nel momento in cui ci lascia, pensa a noi, attraverso la Madre. E la Madre che finora ha seguito Gesù sotto la croce, lo ha accompagnato in tutto il cammino, sempre presente anche da lontano, non perde la sua forza generativa, ma Gesù la trasferisce, attraverso il discepolo amato, a tutti noi. Sostiamo sul testo nelle sue tre parti.  

  1. Paolo VI commenta: “Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da Lui dipende: in vista di Lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi”. (MC 25). Per lasciarci condurre da Maria a Gesù, dobbiamo prima di tutto prendere in mano questo che è il principio della nostra vita: Gesù ci fa andare a Lui aprendo dentro di noi lo spazio per cui noi possiamo riceverlo in dono. Non possiamo andare a Lui, solo perché abbiamo bisogno, ma dobbiamo andare a Lui perché Egli è il dono che ci precede.
    Per comprendere questo, farò un piccolo esempio: quando qualcosa nella nostra vita non va bene, non è facile cambiare. Può essere qualcosa che riguarda la vita personale, la vita relazionale: ogni volta che ci mettiamo d’impegno per cambiare, sentiamo che la piega della nostra persona, l’abitudine, il costume, la gente… è come se fosse una calamita che ci trascina dentro di sé… È difficile cambiare! Possiamo cambiare le cose che non ci piacciono, solo se sappiamo che siamo anticipati da una Misericordia che ci precede. Senza la fiducia  aperta da tale linea di credito, dischiusa davanti a noi, nessuno cambia. Nessuno di noi converte il proprio cuore! Si potrebbe forse fare un gesto di riparazione, ma non è un gesto di trasformazione. Ecco il significato dell’espressione: “La scelse Madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito”. I doni dello Spirito sono come una sorta di ornamento che fa credere a noi, ricuperando la parte migliore di noi stessi. Quando finirà l’omelia, in un momento di silenzio, ognuno provi ad individuare dentro di sé quella parte migliore, a cui egli stesso non crede più. E che lo Spirito, invece, rievoca e rinnova nel nostro cuore.
     
  2. L’Esortazione poi continua: “A Noi pare particolarmente conforme all’indirizzo spirituale della nostra epoca, dominata e assorbita dalla «questione di Cristo», che nelle espressioni di culto alla Vergine abbia speciale risalto l’aspetto cristologico e si faccia in modo che esse rispecchino il piano di Dio, il quale prestabilì con un solo e medesimo decreto l’origine di Maria e l’incarnazione della divina Sapienza” (MC 25). Questa seconda espressione “prestabilì con un solo atto” – con un solo e medesimo “decreto” – l’origine di Maria e l’Incarnazione della Divina Sapienza ci ricorda che tutto ciò corrisponde esattamente alla figura della Madonna di Re! Così come è scritto, il cartiglio ai piedi dell’icona “In gremio Matris sedet Sapientia Patris” – Nel grembo della Madre siede, regna… ci guarda… la Sapienza del Padre – mette in evidenza un particolare di questa icona, che ho sottolineato altre volte: il bambino non guarda la madre, come farebbe ogni bambino mentre viene allattato, ma guarda noi. Si allatta al seno della Madre, ma guarda noi! Una vera madre è colei che è capace di donare il figlio al mondo. Staccandolo da sé, per offrirlo come dono, o meglio per in-segnare – segnare-dentro – che la vita, trasmessa dalla mamma, è fatta per essere spesa nel mondo. Per questo ci vuole anche la figura del padre, per consegnare totalmente la vita. Ma se l’invio nel mondo non inizia già dalla madre, il padre non riesce a tirare fuori il figlio dal grembo della madre. Proprio perché la nostra vita vale di più di quel che noi stessi speriamo, possiamo spenderla per gli altri. Un unico atto unisce l’origine di Maria e l’Incarnazione della Divina Sapienza.
    La Sapienza può indicare le cose buone della vita. Oggi abbiamo tante conoscenze, ma si è abbassato il tasso della sapienza. La Sapienza è quella capacità che aveva la nonna, la mamma, che sapeva tenere insieme tutte le cose. La Sapienza non è tanto l’organo della conoscenza, ma è l’organo della sintesi, della riconciliazione degli aspetti dispersi della vita, dell’esperienza della vita buona, che in qualche modo si riesce a offrire agli altri. Questo è il secondo modo con cui Maria ci porta a Gesù. Ci offre Gesù come la personificazione di questa Sapienza, che è il segreto della vita di ogni uomo e di ogni donna, a partire dal primo giorno della vita del bambino fino all’ultimo giorno della persona anziana, che non può smettere mai di imparare, di rivolgere il suo volto verso il mondo e verso gli altri.
     
  3. L’ultimo elemento del n. 25 dell’Esortazione dice: “Ciò concorrerà senza dubbio a rendere più solida la pietà verso la Madre di Gesù e a farne uno strumento efficace per giungere alla piena conoscenza del Figlio di Dio, fino a raggiungere la misura della piena statura di Cristo (Ef 4,13)”. Espressione colta, quest’ultima, per dire che Maria ci fa diventare uomini e donne veri. La Madre, Maria, diventa un modello anche per tutte le mamme e per tutti i cristiani perché ci conduce alla piena maturità di Cristo. L’uomo non vive solo di cose, ma vive anche di buone relazioni, di affetto, di attenzione, di ascolto, di vicinanza, di comprensione, di pazienza, di attesa, di lungimiranza.
    È questa una dimensione che non si vede! Su un grande quotidiano italiano, oggi, ho letto un commento che citava un’espressione famosa contenuta nel Piccolo Principe di Saint-Exupéry: “È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” (cfr. Cap. XXI, da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry). Questa espressione è usata e abusata, perché quell’essenziale che è invisibile agli occhi ormai per noi è diventato solo qualcosina in più, quello che sogno, confondendo l’invisibile con il mio sogno! L’invisibile non è il sogno, ma è il simbolo, che unisce ciò che vediamo e ciò che non si vede, ma senza del quale non riusciamo a stare in piedi. L’invisibile ha un nome preciso, si chiama gratuità! Se non facciamo nulla di gratuito, se non dedichiamo un po’ di tempo agli altri, un po’ di attenzione, un po’ di vicinanza, noi diventiamo come automi. E allora abbiamo bisogno di riempirci di cose. Insomma noi dobbiamo ritornare a questo “di più”, all’essenziale che è invisibile. Il risultato sarà quello che dice il testo di San Paolo VI, e cioè che parteciperemo alla piena maturità di Cristo. Così vivremo personalmente nella nostra vita di famiglia, nella vita di paese, nella vita della città, nella vita sociale, nella vita comune,  vivremo in una dimensione diversa.
    Nella preghiera alla Madonna di Re, che faremo alla conclusione della celebrazione, portiamo davanti a Lei tutte le nostre situazioni umane. Mentre reciteremo quella invocazione pensiamo a ciò che non viene espresso direttamente nella preghiera, ricordiamo quell’invisibile che non è espresso nelle parole, ma è ciò che ci manca e che solo ci fa crescere nella piena umanità/maturità di Cristo!

+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara

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